L'algologo non è il terapista del dolore e il suo compito primario non è quelllo di eseguire la terapia del dolore ma porne la diagnosi patogenetica e sceglierne la cura
E' auspicabile che in avvenire gli algologi nascano tali e si sentano tali e non più anestesisti, neurologi o neurochirurghi dediti all'algologia; è su questi concetti che si deliniea il profilo dell'algologo, ovvero lo specialista che sulla base della conoscenza della fisiopatologia e della semeiotica del dolore è in grado di porre la diagnosi patogenetica del dolore e di decidere il trattamento adeguato che può essere di competenza sua come di altri specialisti.
Posto che quel che definisce l'algologo è la competenza diagnostica, sul piano terapeutico ogni algologo deve dedicarsi ad un settore (farmacologico, comportamentale o chirurgico) a seconda della personale attitudine e specifica preparazione in paritetico scambio di competenze con altri per eseguire le terapie che esulano dalla sua routine. Va superata la tendenza del medico ad "attaccarsi tenacemente al suo paziente e sperimentare tutti i metodi terapeutici con i quali ha familirità, anche quando le probabilità di successo sono inadeguate".
Purtroppo finchè gli algologi eseguiranno l'algologia come attività collaterale di una discplina che prevede altri compiti totalmente differenti, la maggior parte della pratica clinica algologica rimarrà compito di ogni medico che nell'ambito della propria specialità incontra pazienti con dolore. In queste condizioni, i pazienti continueranno ad essere senza diagnosi algologica. L'importanza sociale ed umanitaria del gran numero di pazienti con dolore persistente o cronico mertita l'attenzione della classe medica specializzata affinchè i malati non siano considerati incurabili o inadeguatamente trattati da improvvisati terapisti del dolore o da specialisti che, pur preparati nella loro disciplina, non sono algologi.
"La chirurgia percutane del dolore"
G. Orlandini
Antonio Delfino Editore
2011
J.J. Bonica [1990] affermò che il dolore cronico è "uno dei problemi sanitari e sociali più grave e pressante perchè affligge annualmente milioni di individui ed il sollievo è insufficiente per molti pazieni". Egli calcolò che per questa causa negli USA nel 1986 furono persi oltre 400.000.000 di giornate lavorative con un costo comprensivo dell'assistenza sanitaria, degli indennizzi e dei compensi legali di 79.000.000.000 di dollari.
"The Management of Pain"
J.J. Bonica
1990
In Italia sarebbero circa 15 milioni le persone affette da dolore cronico, di cui solo il 10% legato ad una malattia oncologica. Siamo un esercito di persone sofferenti, con un dolore il più delle volte dovuto a patologie vertebrali, artrosi, cefalea, neuropatie periferiche e direttamente o indirettamente a forme tumorali. Il dolore incide notevolmente sulla vita quotidiana: secondo recenti indagini, il 23% delle persone con dolore dichiara di aver dovuto cambiare la propria posizione sociale; il 14-17% di aver perso il lavoro; il 20% di aver cambiato lavoro; il 28% ha avuto un cambio di responsabilità della propria mansione. Anche le conseguenze psicologiche non sono trascurabili: nel 18% dei casi, le persone con dolore dicono di vivere un senso di abbandono e la sensazione di perdere il proprio ruolo all’interno della famiglia; al 22% è stata diagnosticata depressione, mentre il 50% prova un senso di sfiducia e malessere. Il peso economico, sociale e psicologico del dolore è pesantissimo. Ogni anno vengono persi almeno 3 milioni di ore lavorative per problemi riconducibili al dolore cronico. Eppure il dolore è spesso considerato, sia dai pazienti che dai medici, come parte ineludibile della malattia, da accettare e sopportare.
NON SOFFRIRE è GRATIS E VALE PER TUTTI
La legge 38/2010 sancisce che cure palliative
e terapia del dolore fanno parte dei cosiddetti
LEA, i livelli essenziali di assistenza, ossia ciò
che il nostro Servizio sanitario è tenuto a garantirci
in modo gratuito, o con il pagamento
del ticket se dovuto, e in modo uniforme su
tutto il territorio nazionale
A CASA SENZA DOLORE
Non solo in ospedale, ma anche a casa il tuo
dolore deve essere controllato e trattato adeguatamente.
Se dopo un ricovero ospedaliero,
devi proseguire a casa la terapia farmacologica
per il controllo del dolore, al momento della dimissione
il medico del reparto deve prescriverti
la terapia e consegnarti il medicinale/i che ti
occorre almeno per il primo ciclo di somministrazione.
Un dolore particolare, così diffuso ma tanto sottovalutato...
Quante volte pensiamo che il chirurgo che ci ha operato ieri, l’infermiere
che ci sta medicando una ferita, il medico che deve farci un particolare
prelievo per la biopsia, o anche il fisioterapista che ci sta rimettendo in
piedi dopo un trauma, siano responsabili del dolore che proviamo?
È il cosiddetto dolore procedurale, che accompagna numerose procedure
diagnostiche e terapeutiche anche di routine. È un dolore al quale
si associa ansia e disagio ed è particolarmente frequente nei neonati e
nei bambini perchè accompagna anche il semplice prelievo di sangue.
Ricorda che...
Se sei sottoposto ad una qualsiasi procedura diagnostica o terapeutica,
è tuo diritto veder riconosciuto, valutato e trattato il dolore, l’ansia e ogni
altro disagio che ne può conseguire.
Non fare il forte e non aver timore. Esprimi il tuo dolore e chiedi che sia
ridotto. Questo ti aiuterà anche a non provare la stessa paura ed ansia
la prossima volta.
Ricorda che...
Il dolore non va sopportato. Va evitata l’autodiagnosi e l’autoprescrizione
di farmaci. Concorda con il tuo medico i criteri per l’automedicazione: per
esempio per crisi acute già note o episodi di dolore acuto quale quello
dentale o il mal di testa. Il dolore persistente va comunicato e descritto
in modo efficace al medico che ti cura e agli operatori sanitari che ti
assistono.
Soffri, ma quanto soffri?
Il dolore ci avverte che qualcosa non va nel nostro corpo. È un segnale
utile per la comprensione della malattia ma non è una condizione inevitabile.
Il dolore può essere misurato e la misurazione è un nostro diritto, il primo
diritto per non soffrire inutilmente.
La valutazione del dolore ha lo scopo di determinarne l’intensità, la qualità
e la durata, di stabilirne la causa e di scegliere il trattamento più
adeguato e, successivamente alla terapia, valutarne l’efficacia.
Esistono diverse scale di misurazione del dolore, alcune di carattere
qualitativo, altre quantitativo.
Di seguito ne riportiamo due tra quelle che più di frequente ti può essere
chiesto di compilare per esprimere il tuo dolore.
Scala numerica verbale
Altrettanto semplice, ti permette di indicare l’intensità del dolore, in un
intervallo numerico compreso tra 0 e 10.
Attenzione!
Il livello 3 della scala numerica è il limite ammesso dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità per il dolore in ospedale. Ciò significa che, se sei
ricoverato, il tuo livello di dolore non dovrebbe mai superare la soglia 3,
ma essere trattato perchè resti al di sotto di tale soglia.
La bua no!
Fino a non molti anni fa si pensava che il neonato e il bambino non provassero
dolore, o che non lo provassero con la stessa intensità degli adulti.
Numerosi studi hanno dimostrato che non è vero: già dalla 23esima settimana
di gestazione, il feto avverte il dolore. Inoltre, a parità di stimolo doloroso,
il neonato percepisce un dolore più intenso rispetto all’adulto: perchè
possiede un maggior numero di recettori dolorifici e perchè le fibre nervose
incaricate di spegnere gli stimoli dolorosi maturano più tardi rispetto a quelle
che ne consentono la percezione.
Il dolore nei bambini è piuttosto frequente! Chi ha figli conosce bene le cosiddette
coliche gassose, così come il dolore causato dallo spuntare dei primi
dentini. Per non parlare di otiti e mal di pancia ricorrenti.
Del resto si stima che più dell’80% dei ricoveri in ambito pediatrico sia dovuto
a patologie che comportano anche dolore.
Tratto da Legge n. 38 del 2010
“Disposizioni
per l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”
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